I primi giorni dell’autunno
hanno drammaticamente riportato all’attualità il problema del rischio
idrogeologico. Precipitazioni sempre più intense e frequenti per i cambiamenti
climatici in atto, un territorio che ogni anno è reso più vulnerabile dal consumo
di suolo e una politica di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico
che continua a basarsi su pochi interventi di somma urgenza invece che su
un’azione di prevenzione e manutenzione diffusa su tutto il territorio sono le
cause del problema.
Come hanno scritto pochi
giorni fa in una lettera aperta al Governo associazioni ambientaliste e di
categoria, ordini professionali ed enti locali (dalla Coldiretti all’Ance, dal
Consiglio Nazionale degli Architetti a FederParchi), sono più di 5 milioni i cittadini
italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio
idrogeologico e 6.633 i Comuni che hanno all’interno del territorio aree ad
elevato rischio di frana o alluvione.
La difesa del suolo e le politiche di
prevenzione del rischio sono ormai urgenti.
Negli ultimi 20 anni per ogni miliardo stanziato in
prevenzione ne abbiamo spesi oltre 2,5 per riparare i danni. Un bilancio reso ancora più grave dalle numerose
vittime e tragedie che frane e alluvioni hanno causato e continuano a causare
sul territorio.
Le politiche per la
mitigazione del rischio idrogeologico non si possono limitare all’attuazione di
pochi interventi puntuali. Serve
un’azione di difesa del suolo che rilanci la riqualificazione fluviale, la
manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle
politiche di prevenzione: un approccio che superi
la logica di emergenza che ha caratterizzato l’azione delle istituzioni, a
tutti i livelli, in questi ultimi anni.
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